Il salto
con Elena Cepollaro, Andrea de Goyzueta, Fabio Rossi, Antonio Tufano
scritto da Fabio Rocco Oliva
in collaborazione con Alessandra Asuni
scene e costumi di Davide Lucchesi
musiche a cura di Raffaele Natale
disegno luci Ciro Di Matteo
assistente alla regia Francesca Saturnino
progetto e regia Alessandra Asuni
produzione Tourbillon Teatro
grazie allo Spazio di Massa Occupato, a Giuseppe Giannelli e alla Sala Ichos
debutto > 21 ottobre 2011
Napoli
ottobre 2011 > Napoli
21 22 23 | Sala Ichos
28 29 30 | Galleria Toledo
novembre 2011 > Caserta
18 19 20 | Officina Teatro
Nel museo archeologico di Paestum è conservata un’antica tomba della Magna Grecia: un uomo è in volo, sospeso tra le colonne della conoscenza e il mare dell’oltre. Galleggia a metà strada tra la vita (che non è più) e la morte (che non è ancora). È la famosa tomba del Tuffatore, l’essenza dei personaggi de Il Salto che vivono, pulsano e si dimenano in sospeso tra la vita (che non è più in loro possesso) e la morte (che li chiama inevitabilmente a sé): sono i prigionieri di una zattera-carcere che galleggia in mare aperto.
Oggi si costruiscono carceri galleggianti per nascondere alla società l’impossibile stato in cui versano le prigioni, per coprire le disastrose condizioni di vita di un prigioniero, per dimenticare i suoi quotidiani suicidi, le sue quotidiane ferite. La prigione viene bandita dalla città perché l’uomo non deve più vedere la punizione: deve tuttavia sapere che esiste, deve immaginarla per averne maggiore timore. Come nel medioevo i Folli, così oggi il Carcerato è destinato a solcare acque solitarie, immerso nella Malattia e nell’Infezione.
Dostoevskij affermava che “il livello di civiltà di un paese si misura osservando la condizione delle sue carceri”: partendo da questa riflessione risulta evidente che il carcere diventa l’aleph dove poter osservare l’ingranaggio difettoso della contemporaneità. La zattera su cui galleggiano in scena i detenuti assurge a destino, a necessità, a condizione di vita e così i prigionieri che trasporta non sono - e non possono essere - uomini particolari né avere caratteristiche psicologiche: sono essenze, frammenti di un uomo ormai impossibilitato, recluso ed escluso dalla possibilità di godere della propria vita, come oggi a Napoli. Così queste ‘proiezioni esiliate’ soffrono, si dimenano ma resistono ai colpi inflitti loro dalla Giustizia. Inevitabilmente sulla zattera vanno ad ammucchiarsi gli ultimi, quelli che non possono trovare alcuna collocazione nella società: un tossicodipendente alla disperata ricerca di un io ormai perduto, un anarchico giovane e passionale che cerca di lottare per affermare un naturale diritto alla vita, un musulmano cieco che non ha più la sua terra e non ancora quella futura; sulle loro teste la Giustizia che gioca a dadi con il loro destino, domina la loro eterna giornata di carcerati scandendone le tappe: l’ora d’aria, la “domandina” da scrivere per qualsiasi bisogno, fino al sogno, al gioco, al salto.
Una rappresentazione che si muove sul limite: il reale e il concreto e l’onirico e il poetico, per comunicare le devastanti conseguenze del vivere in prigioni sovraffollate, per vedere attraverso la condizione carceraria l’infezione che attanaglia la società contemporanea, sovraffollata di tumori.
E dunque, di fronte a tale condizione cosa resta da fare? Sulla zattera i personaggi (che non sono psicologie ma essenze, intensità di sensazioni, vibrazioni invisibili di castrazioni) compieranno ognuno il proprio salto come il tuffatore nella tomba di Paestum: resteranno in sospeso tra la vita e la morte.
Fabio Rocco Oliva